Tutta colpa dello smalto?

Anno 10 n°52 – febbraio/marzo 2009

Lo smalto non è buono!

Questa è la conclusione, sbrigativa, di fronte a un risultato come quello che si vede nella foto. Invece le cause partono da molto lontano. Questo difetto si evidenzia sia su barche in vetroresina (stuccate e verniciate) che su barche di legno o in lega leggera (alluminio), come in questo caso.

Gli errori di questo lavoro si possono riassumere in:

a). cattiva preparazione del fondo con conseguente riduzione di aderenza del primer specifico;

b). applicazione di stucco poliestere in spessore rilevante.

Una superficie di alluminio deve essere correttamente sabbiata o discata e immediatamente protetta con un primer epossidico (come Nautilus Epoxy Primer) che assicuri una buona adesione e protezione prima che inizi l’ossidazione del supporto. Se passa troppo tempo, diciamo qualche ora dalla preparazione del supporto, la condizioni climatiche, sopratutto umidità umidità o nebbia salina, possono essere cause scatenanti anche se con effetto molto ritardato. Alluminio vuol dire superficie con elevato “k” termico che si traduce, nella pratica di lavorazione, in una maggiore richiesta d’attenzione per iniziare l’applicazione di protettivi o stucchi, perché soggetto ad avere un punto di rugiada molto sensibile. La successiva applicazione, in spessore, di stucco poliestere, è un altro passo “falso”. Lo stucco poliestere, a differenza di quello epossidico come Nautilus Light Filler, contiene solvente e quando si applica troppo generosamente, piano piano il solvente se ne va, lo strato perde di volume, di elasticità e tende a rompersi, come le zolle sull’argine di un fiume quando rimangono senza acqua. Lo smalto, anche se si oppone, avendo uno spessore che arriva a circa 100 micron (1/10 di millimetro) e la cui funzione era di essere … solo bello e lucente, viene a trovarsi nella improponibile impresa di “allungarsi”, di bloccare tutto … ma cede, lascia passare l’umidità che rimane anche intrappolata e con l’arrivo della stagione calda si trasforma in vapore, spingendo e alzando ulteriori “croste”. Intorno all’oblò, la differenza di protezione e l’acqua (per di più quella salata) fa da ponte e innesta l’effetto “pila”, consumando il metallo con minore resistenza elettrochimica. Dove appoggia il bordo dell’oblò ci deve essere una guarnizione di resina o gomma, più un corretto spessore epossidico, altrimenti questi difetti iniziali comporteranno anche il rifacimento estetico della fiancata o della tuga.